di Marco Filippeschi
Uscire dall’emergenza vuol dire anche saper leggere il futuro prossimo. Nei giorni scorsi con l’informazione di ALI (Autonomie locali italiane-Legautonomie) abbiamo riproposto alcuni rapporti pubblicati da centri di ricerca di organizzazioni internazionali, di sindacati, di network digitali. Perché anche il governo dei territori e la politica locale devono appropriarsi di scenari nuovi, di un nuovo alfabeto.
Il tema è: cosa cambierà nell’organizzazione del lavoro e della vita delle persone una volta che l’emergenza sanitaria sarà stata conclusa?
Non sappiamo per quanto ancora dovremo convivere con il virus e quando sarà disponibile un vaccino risolutivo. Di certo il lock-down in queste settimane ha stravolto il ritmo di vita al quale eravamo abituati.
Tantissime persone, soprattutto quelle che non hanno potuto continuare a svolgere le proprie attività in presenza, hanno utilizzato il cosiddetto smart working (senza aprire qui il discorso sulle attività didattiche a distanza: un altro imponente esperimento). Anche se per i più è stato semplicemente un home-working, cioè un tentativo di svolgere da casa funzioni che spesso non erano state immaginate per un lavoro distanza. Altri, obbligati a svolgere funzioni nel luogo di lavoro, hanno dovuto cambiare il modo di spostarsi.
Questo esperimento collettivo cambierà anche il nostro atteggiamento per il lavoro e quindi per la componente più importante della nostra vita sociale?
Alcune grandi imprese hanno già annunciato l’intenzione di voler continuare il lavoro distanza, intanto fino alla fine dell’anno. Nella pubblica amministrazione sarà la modalità principale, per regola, per tutto il 2020. Jack Dorsey, il Ceo di Twitter, ha dichiarato che i dipendenti potranno lavorare da casa per sempre, finché lo vorranno, anche quando la situazione di emergenza causata dal COVID-19 sarà superata. Sappiamo anche di alcune società non vorrebbero riaprire i loro “call center”, rimpiazzando questo servizio con le telefonate da casa dei loro dipendenti.
Se queste scelte si realizzeranno gli impatti saranno notevoli. Anche sul mercato immobiliare, per esempio, perché probabilmente si renderanno disponibili grandi spazi, soprattutto nelle città, che potrebbero essere riutilizzati per finalità private o finalità pubbliche. Mentre si potranno riconsiderare la campagna, le aree interne e la montagna, come luoghi adatti a tante prove nuove di lavoro agile, quando saranno servite con la capacità di banda necessaria, superando l’anacronistico digital divide territoriale.
Più in generale la nostra esperienza di lavorare da casa, al di là della maggiore o minore produttività del lavoro svolto e della soddisfazione provata nel farlo, ci ha fatto rendere conto che una parte significativa del nostro tempo viene dedicata agli spostamenti, in prima mattina e nel pomeriggio, per andare al lavoro e tornare a casa. Questo tempo secondo tutti gli studi sull’economia della felicità è considerato dal punto di vista della qualità della vita il peggiore momento della giornata: un’ora, o due ore e anche di più nelle grandi città, chiusi in un’auto in mezzo al traffico o su mezzi pubblici spesso congestionati. Risparmiare questo tempo sacrificato e questi stress è un’aspirazione ragionevole.
Lavorare da casa vuol dire però rinunciare a condividere la quotidianità e anche la regolarità di certe giornate. Vuol dire, per tanti, una full-immersion nel lavoro, senza vere pause e sottoposti ad uno stress di tipo nuovo. Non va dimenticato che tanti studi hanno dimostrato come la compresenza stimoli la creatività, le idee e dunque la produttività: l’esperienza, recente in Italia, dei co-working dimostra come questo sia vero anche fra attività distinte. C’è da avere grandissima attenzione e spirito critico: lavoratrici e lavoratori devono avere la parola. Settore privato e settore pubblico dovranno fare delle scelte, non trascurando di valutare gli effetti sulla socialità e anche sulla psicologia delle persone, con un adattamento necessario dei diritti del lavoro al nuovo contesto. C’è già una consapevolezza importante, come dimostrano i risultati di una recentissima ricerca della Cgil.
Poi c’è il tema delle infrastrutture. Se tante imprese e tante istituzioni decideranno di cambiare approccio ciò richiederà un investimento importante nelle reti di telecomunicazione per evitare che il sovraccarico rallenti il lavoro a distanza di milioni di persone o crei dei black-out molto dannosi. Ciò richiede un’accelerazione da parte degli operatori privati e degli investitori pubblici per la Banda Ultralarga e per il 5G (con le regole necessarie). L’affermarsi di un approccio innovativo richiederà anche un investimento specifico per aiutare le persone a adattarsi a questa nuova vita: sarà dunque necessaria una massiccia iniziativa di formazione. Inoltre, nell’emergenza si sono fatti primi passi necessari ad incentivare abitudini virtuose. Per esempio, per gli spostamenti per lavoro, con il rilancio della figura del “mobility manager”.
Insomma, i cambiamenti solo sperimentati muovono davvero molto e il nostro futuro dipenderà da scelte individuali e collettive. In questa luce è importante farsi una cultura nuova e autonoma del lavoro e dei diritti, discuterne, condividerla e soprattutto saper orientare i cambiamenti nell’interesse collettivo, senza subirli.